23 Dicembre 2024

Parliamo di sale d’aspetto

Stanno progressivamente scomparendo ma sarebbero molto utili, soprattutto in inverno, a fare ciò per cui sono state pensate: aspettare

Racconta lo scrittore Mauro Covacich che la stazione di Trieste alla fine della Seconda Guerra Mondiale “era un concentrato della storia del Novecento in cui tutti passavano ignari – e come avrebbero potuto fare diversamente? –, compresi i miei nonni che si sedevano per un po’ lì, sempre sulla stessa panchina, forse per distrarsi, forse per pensare meglio alla direzione su cui mettere il loro futuro”.

Per Enrico Brizzi, l’autore di Jack Frusciante è uscito dal gruppo, la sala d’aspetto della Stazione Centrale di Bologna è una porta da attraversare per arrivare al ricordo del padre ferroviere, che ancora oggi immagina impegnato nel soccorso ai feriti, il 2 agosto 1980.

Le sale d’aspetto sono legate indissolubilmente alla storia del trasporto ferroviario, eppure all’interno delle stazioni costituiscono un’eccezione: sono luoghi in cui andare per restare e non da attraversare. E forse in virtù di questa caratteristica sono state via via eliminate o rimpiazzate da altri format più attuali, come le sale lounge delle varie imprese ferroviarie.

Tra le oltre duemila stazioni italiane è difficile fare una stima delle sale d'aspetto sopravvissute. In diminuzione costante per motivi sanitari – come è stato durante la pandemia, quando furono vietate come tutti gli spazi pubblici al chiuso – o per esigenze di riqualificazione, le sale d'aspetto sono un lusso che non ci si può più permettere. Nelle grandi città come Milano o Roma la loro funzione è stata riassorbita dalle panchine installate negli spazi comuni, qualche volta a scapito del comfort; ben diverso è il discorso nelle piccole città o addirittura nei paesi.

Sulla rete FER le sale d’aspetto sono circa 80, molte delle quali progressivamente chiuse, in linea con la tendenza nazionale, anche per motivi di ordine pubblico: perché se è vero che una sala d’aspetto chiusa è un disagio per gli utenti - soprattutto in inverno, quando le temperature si fanno rigide all’estero – viceversa una sala d’aspetto aperta rischia di essere un ricettacolo di attività illecite o un ritrovo di persone senza fissa dimora.

Questione complessa dunque, da affrontare con una strategia integrata che tenga in conto tutte le implicazioni. Una delle quali è il bilancio: mantenere attive le sale d’aspetto implica costi sempre meno sostenibili, considerando il trend dei trasferimenti agli enti locali.

Una possibilità è guardarsi intorno e prendere ispirazione dal riutilizzo degli ultimi piani delle stazioni di provincia, una volta adibiti ad alloggio del capostazione: sin dagli anni Novanta Rete Ferroviaria Italiana li ha garantiti in comodato d’uso gratuito ad enti pubblici e associazioni, perché un’attività di qualche tipo rende la stazione più sicura e la protegge dal degrado.

Come riportato da Il Post.it, “a Talamona, in provincia di Sondrio, il circolo ARCI Demos aveva riconvertito il piano superiore della stazione in una piccola sala concerti. A San Stino di Livenza, la vecchia stazione è diventata un centro culturale e ostello per cicloturisti gestito da Legambiente”.

Sulle linee FER vanno segnalate le iniziative svolte nelle sale d’aspetto delle stazioni di Molinella e Budrio, dove sono state allestite alcune mostre fotografiche tra cui quella del fotoreporter Luigi Saporetti; inoltre in quella di Barco, comune di Molinella, lavora una scuola di musica.

Un altro esempio virtuoso in ambito extra-ferroviario è la rigenerazione urbana dei mercati rionali in atto a Bologna, dove verrà proposto un calendario di attività quali rassegne culturali, laboratori per bambini, conferenze, spettacoli, eventi di sensibilizzazione su acquisti e consumi sostenibili.

La strada sembra dunque tracciata: è quella del riutilizzo degli spazi pubblici, meglio se ripensati secondo una logica di condivisione alla cittadinanza, non solo in fase di erogazione dei progetti ma anche in quella di ideazione.

Tutto questo, naturalmente, a patto che vi sia un reale interesse delle associazioni dislocate sul territorio; e idee valide per reinventare luoghi e servizi per gli utenti delle stazioni, soprattutto le più piccole.

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